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Velio Ferretti
Il primato della materia
 
di Daniela Pronestì
 
La materia prima di tutto, ancora prima del colore, del segno, degli effetti di luce: l’approccio di Velio Ferretti alla pittura non può prescindere da questo assunto, che lo vede sconfinare dalla tela tradizionalmente dipinta al bassorilievo ottenuto combinando più elementi. Dopo gli esordi come pittore paesaggista, ha proseguito da un lato mantenendo l’idea di “quadro”, e quindi di un supporto che accoglie il processo creativo, e dall’altro adottando una cifra espressiva astratto-informale derivata dalla trasfigurazione del dato naturalistico. Filo conduttore tra le due esperienze – quella nell’ambito del naturalismo e l’odierna fase dell’informale materico – il tema del paesaggio, che procede, dalle prime opere a quelle attuali, confluendo in un linguaggio che richiama le concrezioni della roccia, la lucentezza metallica dei minerali, la consistenza sabbiosa del terreno, i segni lasciati sul suolo dal passaggio dell’uomo. Dalla natura vista e rappresentata alla natura vissuta interiormente e ricostruita strato per strato, partendo dal supporto in legno e proseguendo per successive addizioni materiche – rete metallica, cemento, sabbia, colore –, fino ad ottenere un corpo “vivo”,reagente alla luce, evocativo di valori tattili quanto, al medesimo tempo, di suggestioni immateriali. Come un alchimista, Ferretti trasforma cemento e sabbia in materiali nobili, che insieme compongono il cuore dell’opera, su cui l’artista interviene aprendo solchi, tracciando segni, fissando impronte di materiali-matrice. Una vita pulsante e misteriosa anima queste superfici, la cui somiglianza con la crosta terrestre, dovuta dalla presenza di rilievi, increspature e solchi, lascia pensare che intento dell’artista sia replicare i processi naturali, stabilendo un nuovo equilibrio tra ordine e caos, vitalità e distruzione. Una dialettica tra gli opposti richiamata anche dalla presenza della rete metallica, barriera che si frappone tra il supporto e lo sguardo e allo stesso tempo apertura oltre la quale la materia, affrancata da ogni costrizione, può emergere in tutta la sua evidenza. Compito della rete è anche accentuare le irregolarità delle superfici, alternando zone più lisce in cui la luce scorre fluida a parti più accidentate dove la luce si interrompe, e accogliere la pittura all’interno delle proprie maglie, ottenendo così tasselli cromatici disposti in armonia o in contrasto con i toni dominanti dell’opera. In altri casi, le ferite inferte ai rilievi materici diventano l’equivalente di una scrittura segreta, con la quale Ferretti comunica all’osservatore il pathos dell’atto creativo e l’energia che a questo si accompagna ma anche la catarsi che giunge alla fine di una “lotta”, quella con la materia, a cui l’artista non può sottrarsi. A dispetto delle ridotte dimensioni, queste opere suggeriscono una spazialità monumentale che li fa sembrare dettagli ingigantiti di pianeti lontani, visioni di mondi sconosciuti, sui quali lo sguardo atterra con l’emozione legata alla scoperta di qualcosa di mai visto prima. Crateri, rocce, solchi, sabbia: si ha davvero l’impressione di stare osservando un paesaggio primordiale, percorso da burrasche e tempeste di vento, forgiato dall’azione implacabile del tempo. È l’artista demiurgo ad averlo creato, mostrando l’abilità di chi, come Ferretti, sa bene cosa voglia dire rigenerare la materia avendo in mente una precisa intenzione espressiva ed essendo pronto a superare qualunque ostacolo pur di realizzarla.
IL MURO
di Alessandro Mannelli
Guarda, tocca quella ruvidezza; senti sotto le dita il granello di sabbia, la malta; vedi le ombre che nascono sulla sua superficie al passaggio dei raggi del sole.
Accarezzalo, il muro.
Scopri la maglia della rete che si nasconde al suo interno, che emerge talvolta, oppure s'affonda per poi tornare prepotente in superficie; addirittura divenire protagonista orgogliosa di questa ricerca nella quale si è aperta, poi richiusa; e poi ancora riaperta per farci scoprire che esiste la possibile via di fuga.
Ma il muro resiste; contiene la rete; e il muro diviene il nuovo confine.
Il muro, il nuovo orizzonte.
Il muro il tema centrale, oggi, di un percorso che riconosce nel suo “limes” non la chiusura ma la speranza di un oltre, la consapevolezza di un'architettura del mondo nel quale il muro vive con i suoi graffiti, le sue
ferite, i suoi attrezzi che l'artista/uomo utilizza alla maniera del mastro artigiano.
E i suoi colori; l'oro dei muri appassiti dal tempo, il blu profondo, e i rossi imponenti e sfacciati, i gialli lacerati e galleggianti, i bianchi sporcati dal segno della grafite che appare in trasparenze sofferte.
Forse tutto questo prelude ad una visione onirica tridimensionale, dove quei muri ricercati, trovati, rappresentati, macerati e maturati dentro l'anima e sopra la tela 'sono' confine.
Eppure quegli stessi muri sono capaci di generare al loro interno i tagli, le fenditure che divengono varchi dello spazio e nel tempo.
Di questo si nutre il percorso d'artista, e della capacità di farci intravedere un possibile futuro da dietro le reti dei nostri molteplici inganni.
Montecatini Terme , agosto 2018
 
TRANS LIMINA 
di Anna Brancolini
Ancora i consueti materiali umili e quotidiani, ricchi del sapore e del profumo di un passato filtrato attraverso il recupero memoriale; ancora gli strappi sulla iuta, metafora, forse, delle lacerazioni dell’esistenza o di varchi sperati e sognati verso un altrove indistinto; ancora quelle aperture nella rete metallica, che ci proiettano al di qua e al di là del piano spaziale dell’opera, verso il gorgo dell’abisso o un punto d’approdo salvifico.
Ma la ricerca artistica ora va al di là del concetto di soglia e supera quell’ambigua dialettica tra ordine e caos e tra costrizione e libertà su cui indugiavano, puntigliose, le opere precedenti.
Si instaura così un nuovo dialogo con la materia ed il colore: ricercata, la prima, per le sue diverse tattilità e accarezzata o graffiata come per assecondare i diversi moti dell’animo; più vario, sfaccettato e chiaroscurale il secondo, capace di evocare forme indistinte, tremuli orizzonti o mute presenze, quasi fantasmi strappati ad una dimensione lontana, mentre le superfici fremono di palpiti emotivi o di vibrazioni sfuggenti e i bagliori bizantini dell’oro sembrano suggerire traiettorie interculturali ed una rinnovata dialettica tra sacro e profano.
Rete e iuta dunque, nelle ultime opere, si pongono come sfondo, pur con le loro simbologie forti; e la ricerca verte sulle infinite plasticità di quelle sabbie, di quei grumi di cemento e di quelle paste acriliche che danno corpo e volume alle superfici e disegnano traiettorie dinamiche e spaziali molteplici, con i loro graffi, i loro segni, i loro impercettibili giochi di pieni e di vuoti che sembrano celare in sé, filtrati da labili ricordi, elementi naturalistici: le dune di sabbia, i campi arati o incolti, le onde del mare, le nuvole del cielo; elementi fermati come in istantanee sfocate e ricreati attraverso nuovi concetti spaziali che li trasportano in una dimensione altra, quasi metafisica; cosicché le opere diventano un’indagine sullo spazio assoluto, interno ed esterno, ed ogni referente, di qualsiasi segno o natura, si dissolve e svapora.
Se talvolta sembrano apparire delle forme – mute presenze o labili fantasmi, come dicevo sopra – queste hanno i contorni del sogno e dell’indistinto. Presenze e fantasmi dell’anima, senza dubbio, capaci di ricondurre qualsiasi esperienza vissuta o elemento figurale ad un linguaggio essenziale, astratto ed allusivo.
Anche il colore, questo colore che ora ricerca i blu intensi, i rossi sanguigni e, soprattutto, la luminosità dell’oro, contribuisce a sublimare ogni eco naturalistica, ogni palpito di tempo storico ed ogni frammento di spazio geografico in una dimensione totalizzante, al di là dello spazio e del tempo; ed in questa complessa totalità, apparentemente semplice e minimale, dialogano suggestioni culturali ed artistiche diverse e vengono evocate in modo suggestivo le preziosità dei mosaici ravennati e orientali, i cui tratti squisitamente bizantini, con il loro gusto del dettaglio raffinato e la loro atmosfera sospesa, si mediano con i fremiti profondi, variegati e liberi dell’anima che si affaccia sul mistero dell’io e dell’universo che quell’io contiene e giustifica.  Così in queste superfici si percepisce una nuova sacralità: quella della nostra intimità più nascosta e, insieme, del respiro cosmico che ci avvolge, dello spazio infinito che ci dà vita, di quel continuum che riassorbe ogni diversità e fa, di questa, una piccola scheggia affacciata sul mistero: esile ma preziosa traccia lasciata dall’uomo della sua presenza su questa terra.
Pistoia,  luglio 2018
Le superfici di Velio
 
Le ultime opere di Velio sono delle vere e proprie costruzioni architettoniche.
La materia,  in prevalenza cemento, è plasmata sapientemente con rilievi, aggetti, rientranze che richiamano pilastri e gronde, pareti e volte, talora sospesi o intersecati tra loro.  L’effetto della plasticità è reso ancor più pregnante dall’utilizzo del colore che si armonizza con la materia sottostante o la fa risaltare, quasi a sfidarla in una vera e propria competizione.
Di questa produzione colpiscono due elementi: la forza catturante degli elementi architettonici quasi balzanti fuori e la veemenza dei graffi e delle sbavature, misurati e studiati ad evocare affreschi e dipinti di stanze dimenticate.
La povertà dei materiali sembra essere mirabilmente portatrice di strutture composte e colori graffiati che richiamano muri devastati dal tempo, come a voler significare il deterioramento ogni opera umana.
Muri vecchi, scoloriti, intonachi scrostati e corrosi queste sono le immagini che evocano le opere di Velio, da cui trapela, forse, anche una intrinseca tristezza che però l’artista smorza mirabilmente con quei bagliori dorati e le puntinature a mosaico che fanno vibrare di luce tutta la superficie.
Laura Cappellini, febbraio 2019
 
 
 
AD LIMINA
di  Anna Brancolini 
 
C’è una riduzione all’essenziale in questi lavori:  superfici lignee ricoperte da una semplice rete metallica a maglie variabili, fermata con colla a caldo. Colori puri misti a sabbia o paste acriliche neutre o cemento/colla che accarezzano queste superfici e queste reti creando tattilità diverse, vibranti, chiaroscurali.
I colori sono pochi e ricorrenti: il nero della notte, il blu delle profondità del mare, il giallo luminoso del sole e dei campi di grano, il bianco dalle valenze ambigue, reso pulsante da brillanti inserti dorati e presente anche sulla iuta di altri pezzi, sempre caratterizzati da contrasti cromatici e dalla dialettica di luci e di ombre tra spazi sovrapposti.
L’esito sono opere piene di fremiti, dinamiche nella loro apparente staticità e nel loro ricorso a moduli geometrici, sempre corrosi tuttavia da qualcosa di imperfetto: uno strappo sfilacciato nella iuta, un taglio irregolare nella rete, con il protendersi delle maglie verso altri piani spaziali, con tentazioni volumetriche.
Un’allusiva ambiguità avvolge queste forme plastiche che sembrano esprimere le multiformi valenze del concetto di limen: soglia, ma anche limite e confine e, ancora, linea di partenza e dunque inizio e principio. Traiettoria verso un altrove sfumato e incerto, pauroso e rassicurante al tempo stesso: il limen – si noti -  è anche la casa, il porto sicuro, pascolianamente il nido.
Dunque la rete esprime il senso di chiusura e costrizione o è una sorta di gabbia protettiva per fermare emozioni e ricordi e sottrarli allo scorrere inesorabile del tempo e all’oblio?
Gli strappi alludono alle tante lacerazioni della vita, sono il montaliano anello che non tiene oppure il varco verso l’altrove, la fuga salvifica, la metafora della libertà o il porto rassicurante di un approdo però mai definitivo e definito?
Forse tutto questo insieme, in queste superfici dallo status incerto, percorse da tremuli orizzonti o tramate di vibranti aneliti di fuga verso l’alto, su, nel cielo.
Alla terra, con tutto il suo carico di vissuto, ci riportano i graffi sulle colle, sulla sabbia e sui colori pastosi, quei graffi che sembrano scrivere una storia intima e nascosta, personalissima, ed evocano anche il fascino lontano di muri diroccati o scrostati, rigati dalle esperienze della vita sommersa e anonima di generazioni.
Visioni della mente e del cuore, evocazione nostalgica e composta di qualcosa di perduto, a livello individuale e collettivo, a cui fanno senza dubbio riferimento i materiali poveri – la rete, la iuta – non a caso inizialmente di recupero: quei materiali che, quasi con pudore, rimandano all’antica sapienza artigianale del territorio ed al calore espresso dalla mano dell’uomo.
D’altra parte le opere di Ferretti non sono né casuali né improvvisate: saldano strettamente una manualità vissuta senza riserve con la lucida consapevolezza razionale di un progetto che ha ben chiaro il gioco delle simmetrie e degli equilibri formali, cromatici e prospettici delle composizioni.
Così ragione e sentimento si uniscono in queste opere pluriverse e sinestetiche che sollecitano più piani sensoriali con i loro fremiti luminosi e materici e sembrano nascere veramente dal profondo per immergersi nel profondo, alla frontiera di una dimensione indistinta: traccia misurata e discreta della propria interiorità ed anche velata e suggestiva metafora dell’Uomo Errante alla perenne ricerca di sé e di  porti mai definitivi.
 
Sempre ad limina, appunto.
 
Pistoia,   Aprile 2018
 
VERSO L’ALTROVE
di Federico Napoli
 
 
Nella pittura di Velio Ferretti, le forme geometricizzate nei paesaggi  di molti anni  fa, le intensità cromatiche, l’articolazione degli spazi, i segni che contribuivano alla composizione descrittiva, la stessa sintesi generale, alla lunga sono apparsi  agli occhi dell’autore un luogo troppo preciso e descritto ed è sopraggiunta in lui la necessità di un altrove.
Instaurando un  processo di conoscenza e di raffronto con materiali diversi, Ferretti in questi ultimi tempi sempre più ha percorso la strada del distacco fra forma e contenuto, inevitabilmente sopraggiunto  nel processo creativo, andando oltre nell’espressività delle proprie composizioni. Così, oggi  ci troviamo di fronte ad una serie di “interni” personali che si riconoscono come spazio vitale; scompaiono altresì i riferimenti oggettivi, in favore di un insieme di allusioni che non narrano, ma rivelano l’atteggiamento personale dell’autore. Dunque,  dal 2015, Ferretti nella sua produzione artistica è passato dal “fuori” al “dentro”, cioè il quadro ha perso  la componente   rappresentativa, proponendo ora una maggiore riflessività e spostando l’attenzione dall’oggetto al soggetto. Ovvero, l’opera mostra verità personali dell’animo,  che per altro l’autore può solo cercare di identificare: essa è un’eco, in cui si rintracciano trepidazioni e fremiti, ansie e speranze.
Come soggetto, le opere di questi ultimi anni prevedono una visione d’insieme che partendo da un’ideale e materiale  ingabbiatura,  allusiva a una situazione di segregazione prigionia costrizione e impedimento di visuale - “… questa siepe, che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude …” (Giacomo Leopardi, “L’Infinito”)  - , approdano ad una breccia apertasi in questo spazio chiuso attraverso la quale fuggire, trovandosi così di fronte ad uno stato d’animo alimentato dalla speranza, che va però soddisfatta tramite un complesso e per questo incerto cammino.
Formalmente, la gabbia prevedere l’affiorare dalla massa cromatica di una struttura metallica che può essere squarciata e che quindi fa intuire un sentimento  di speranza. Materialmente,  le opere vivono di una rete affogata nel colore (spesso  scuro, ma non sempre), dove la struttura poligonale degli elementi costitutivi entra in dialettica con la dimensione rettangolare e  regolare  della superficie di lavoro: gli strappi   sono sottolineati  da un colore chiaro - ma non di rado la situazione si inverte -, instaurando un dialogo fatto di azione,  di luce, di profondità prospettica. Ferretti  mantiene l’attenzione sul proprio  mondo interiore e la composizione,  non essendo né centralizzata né presupponendo come necessaria una precisione di segno, risulta essere maggiormente emotiva. Di conseguenza, il segno  ed il gesto si pongono in rapporto con la materia e con la sua stessa manipolazione; d’altra parte, senza il supporto rincuorante degli elementi compositivi accademici, qui sostituiti da una corposa superficie materica realizzata con gessi stucchi collanti sabbia e la stessa rete metallica, distesi su superfici di tela legno o juta, pur senza questi riferimenti tradizionali l’autore raggiunge egualmente improvvisi squarci di luce - libertà - speranza. I suoi sono luoghi chiusi,  da cui evadere per trovarsi in spazi nei quali permane un senso di occlusione,  per liberarsi del quale è necessario intraprendere un lungo frammentato cammino, punteggiato  da  un  insieme  di  segni  assunti  a  simboli  nel  linguaggio  di  Ferretti,  dove  nodi e incroci  alludono  al difficile incedere del viaggio.
Striature sulla superficie pittorica e inclusioni geometriche di reti metalliche danno corpo a un tattile dualismo di luci e ombre e una vaga incerta linea orizzontate prelude ad una  speranza, comunque difficile da gestire. Pertanto, ci troviamo di fronte a un mondo creativo strettamente personale:  “Lasciate che le porte sussurrino, la gente del mondo percorre i corridoi e non ascolta” (Ray Bradbury, “Viaggio in Messico”).
Ma,  anche se il contesto è drammatizzato, sulla superficie di lavoro di queste elaborate e sofferte tecniche miste permane un ordine controllato, quasi che l’autore  volesse proporre o comunque mostrare con maggiore forza e chiarezza una possibile via di liberazione, per altro incerta nei suoi stessi esisti.
Dipingere, così, diventa una ricerca esistenziale, con uno scopo non narrativo né un sapore metafisico, ma  di impegno personale, quasi umanistico, perché stretto attorno all’uomo:  pur di fronte a una realtà aspra, c’è il gesto liberatorio dello strappo che supera i limiti e conduce oltre come in una scommessa,  verso la speranza di  un altrove. 
 
Velio Ferretti è in cammino.
 
  Firenze, luglio 2017
Alessandro Mannelli
Un Racconto
 
 
Il tempo che passa
“Forse è proprio vero che ciascun uomo porta scritto nel proprio sangue la fedeltà d'una voce e non fa che obbedirvi, per quante deroghe l’occasione gli suggerisca”
Gesualdo Bufalino “ L’uomo invaso”
Il guardiano delle rovine
 
     Arriva un momento in cui prepotenti tornano i sussulti di antichi pensieri; arriva un momento in cui maturano i fondi sopiti, le lacrime dell’animo si liberano/librano nell’aria.
     Arriva un momento in cui i sensi che ci hanno accompagnato fanno riconoscere i più sottili profumi, le più morbide – o aspre – superfici,  i più ricercati sapori,  le più dolci – o aspre – melodie.
     Arriva un momento in cui si riesce a contattare senza paura il sé profondo e lo si guarda con rispetto, amore ma anche con lucida consapevolezza.
Conoscenza uguale a consapevolezza, forse. Oppure il contrario. Da questo confronto/scontro nasce un variegato senso del pudore che ti porta a disconoscere, talvolta, la tua stessa natura; ma anche a valutarti, come se uno specchio a dimensione d’uomo riferisse di una persona che solo ti assomiglia, ma non sei proprio tu, quel tu che pensavi di conoscere.
     L’esercizio della vita insegna a competere con se stessi ma il retrogusto è quello di una queta armonia con il proprio vissuto, con la propria storia.
 
Una vocazione
     L’arte,  ogni espressione artistica è traccia evidente e ineludibile di questo percorso e dei suoi esiti. E Velio ha vissuto; e il suo vissuto porta le tracce, evidenti e ineludibili, di quanto ognuno “porta scritto nel proprio sangue…”.
     I primi esiti del suo percorso intellettuale, della sua espressione di uomo artista appartengono ad un passato lontano; ma si ricollegano in modo impressionante/evidente agli esiti ultimi. E’ proprio in questi esiti che è possibile leggere una riduzione all’essenziale, una poesia della vita reale trasferita sulle superfici ruvide e aspre che l’artista esalta nelle ultime opere.
Velio rinasce, novella araba fenice, ogni qualvolta da uomo trasferisce sulle “tele” le tensioni percepite, i percorsi tentati e/o immaginati. E’ un passaggio obbligato; appartiene a tutti coloro che vivono e convivono con il fuoco dell’arte, spesso anche sopito e/o  mascherato da attività altre, lontane, diverse.
Velio rinasce; e la sua nuova vita è percorsa da fremiti che lo portano in terreni inesplorati.
 Velio rinasce e la sua vocazione marcia lungo strade che appartengono anche ad un passato diverso, ma nei  pezzi che si ricompongono, nelle reti che imbrigliano i ricordi, nelle superfici ruvide e sapientemente amalgamate ai fondi di profondi rossi e di bruni e d’oro si rileggono esperienze legate a geometrie di comportamenti operativi, di gestioni della risorsa uomo, di capacità e volontà relazionali che appartengono all’uomo, cosciente metafora dell’artista che sopravvive, resiste ed esce finalmente vincitore.
Ma andiamo per piccoli passi.
 
La ricerca
     All’inizio è stato il trionfo del colore, dei colori, soprattutto i gialli e i rossi, con campiture delimitate da una ragnatela di “percorsi” , quasi ad identificare una ipotetica mappa mentale (forse una mappa del percorso di vita?).
     Una sinfonia di note con i sensi allertati per cogliere i profumi ed i sapori della ricerca di una nuova via/vita.
     Come in una esistenza rivissuta, attraverso le tele si sono condensate le ricerche coloristiche; i pensieri si sono raggrumati. Hanno preso forma, matericità e sintesi i rossi; i gialli sono diventati soli, squarci d’oro.
                                                                                 “...cerca una maglia rotta nella rete
che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!...”
E. Montale ,  In limine , da  “Ossi di seppia”
 
Prepotente la consapevolezza del dolore, la lettura del dolore;  prepotente e liberatorio è arrivato lo strappo nella maglia della rete, ed il sole, spiraglio di luce salvifica, momento della gioia ritrovata, la gioia della vita che vince.
     La rete, ora a maglie piccole, ora a maglia grande, ora una micromaglia quadrata, si è impastata con la materia del sottofondo; poi si è aperta; lo strappo ha il significato dell’uscita dalla sofferenza?
     Non dobbiamo chiederlo a chi lo ha vissuto, a chi ce lo propone.
     Velio non risponderebbe; i suoi pacati silenzi lascerebbero il dubbio all’interpretazione di ognuno.
     E’ vero. Ciascuno può leggere la propria storia in quei pezzi di profondi rossi, in quelle tele dove l’oro o il bruno campeggiano per aprirsi poi ad un taglio verticale o orizzontale dove il bruno, il nero e l’oro stesso separano il ‘mondo’ in due universi.  E i due universi sembrano rispecchiarsi come in alcune delle ultime opere dove i quasi bianchi creano l’effetto di un nuovo orizzonte; forse una nuova frontiera della ricerca; forse un nuovo approccio, una diversa consapevolezza, una strada per chi ha superato le maglie della ‘rete’ e naviga libero nel mare di nuovo mondo.
Alessandro Mannelli,  ottobre 2016
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Velio Ferretti
The primacy of matter
by Daniela Pronestì
 
The material first of all, even before the color, the sign, the effects of light: Velio Ferretti's approach to painting cannot depend on this assumption, which sees it trespassing from the painted canvas to the bas-relief obtained with more elements. After his beginnings as a landscape painter, he continued on the one hand by maintaining the idea of ​​"painting", and therefore of a support that welcomes the creative process, and on the other by adopting an abstract-informal expressive figure derived from the transfiguration of the data. The common thread between the two experiences - that in the field of naturalism and today's phase of the informal material - the theme of the landscape, which proceeds, from the first works to the current ones, merging into a language that recalls the concretions of the rock, the metallic sheen of minerals, the sandy consistency of the soil, the marks left on the soil by the passage of man. From nature seen and represented to nature experienced internally and reconstructed layer by layer, starting from the wooden support and continuing with subsequent material additions - mesh, cement, sand, color -, until obtaining a "living" body, reacting to light, evocative of tactile values ​​as well as, at the same time, of immaterial suggestions. Like an alchemist, Ferretti transforms cement and sand into noble materials, which together make up the heart of the work, on which the artist intervenes by opening grooves, tracing signs, fixing footprints of matrix materials. A pulsating and mysterious life animates these surfaces, whose resemblance to the earth's crust, due to the presence of reliefs, ripples and furrows, suggests that the artist's intent is to replicate natural processes, establishing a new balance between order and chaos, vitality and destruction. A dialectic between opposites also recalled by the presence of the metal mesh, a barrier that stands between the support and the gaze and at the same time an opening beyond which the material, freed from any constraint, can emerge in all its evidence. The task of the mesh is also to accentuate the irregularities of the surfaces, alternating smoother areas where the light flows fluidly to more bumpy parts where the light is interrupted, and to accommodate the painting within its meshes, thus obtaining chromatic tiles arranged in harmony or in contrast with the dominant tones of the work. In other cases, the wounds inflicted on the material reliefs become the equivalent of a secret writing, with which Ferretti communicates to the observer the pathos of the creative act and the energy that goes with it but also the catharsis that comes to an end. of a "struggle", that with the material, which the artist cannot escape. Despite their small size, these works suggest a monumental spatiality that makes them seem magnified details of distant planets, visions of unknown worlds, on which the gaze lands with the emotion linked to the discovery of something never seen before. Craters, rocks, furrows, sand: you really get the impression of observing a primordial landscape, crossed by storms and windstorms, forged by the relentless action of time. It is the demiurge artist who created it, showing the ability of those who, like Ferretti, know well what it means to regenerate matter having a precise expressive intention in mind and being ready to overcome any obstacle in order to achieve it.



THE WALL    
by Arch.  Alessandro Mannelli 



Look, touch that roughness; feel the grain of sand, the mortar under your fingers; see the shadows that arise on its surface when the sun's rays pass.
Caress it, the wall.
Discover the mesh of the net that is hidden inside it, which sometimes emerges, or sinks and then comes back on the surface; even becoming a proud protagonist of this research in which it opened, then closed; and then again reopened to let us discover that there is a possible escape route.
But the wall resists; contains the network; and the wall becomes the new boundary.
The wall, the new horizon.
The wall is the central theme, today, of a path that recognizes in its "limes" not the closure but the hope of a beyond, the awareness of an architecture of the world in which the wall lives with its graffiti, its
wounds, his tools that the artist / man uses in the manner of the master craftsman.
And its colors; the gold of the walls withered by time, the deep blue, and the imposing and shameless reds, the torn and floating yellows, the whites stained by the sign of the graphite that appears in suffering transparencies.
Perhaps all this is a prelude to a three-dimensional oneiric vision, where those walls sought, found, represented, macerated and matured inside the soul and above the canvas 'are' boundaries.
Yet those same walls are able to generate within them the cuts, the fissures that become gaps in space and time.
This is what feeds on the path of an artist, and the ability to make us glimpse a possible future from behind the networks of our many deceptions.

 
Montecantini Terme, August 2018











 


TRANS LIMINA 
by Prof. Anna Brancolini

Still the usual humble and daily materials, rich in the taste and smell of a past filtered through the memorial recovery; still the tears on the jute, a metaphor, perhaps, of the lacerations of existence or of hoped and dreamed passages towards an indistinct elsewhere; still those openings in the wire mesh, which project us on this side and beyond the spatial plane of the work, towards the whirlpool of the abyss or a point of salvation.But the artistic research now goes beyond the concept of threshold and overcomes the ambiguous dialectic between order and chaos and between constraint and freedom on which the previous works lingered, meticulous.
In this way a new dialogue is established with the material and the color: refined, the first one, for its different tactility and caressed or scratched as to satisfy the different motions of the soul; the more varied, multifaceted and chiaroscuro the latter, capable of evoking indistinct forms, tremulous horizons or mute presences, almost ghosts torn to a distant dimension, while surfaces quiver with emotional beats or elusive vibrations and the Byzantine glow of gold seem to suggest intercultural trajectories and a renewed dialectic between the sacred and the profane.
Network and jute therefore, in the latest works, are set as a background, even with their strong symbologies; and the research focuses on the infinite plasticity of those sands, those lumps of cement and those acrylic pastes that give body and volume to surfaces and draw multiple dynamic and spatial trajectories, with their scratches, their signs, their imperceptible games of full and empty that seem to hide in itself, filtered by fleeting memories, naturalistic elements: the sand dunes, the plowed or uncultivated fields, the waves of the sea, the clouds of the sky; elements stopped as in blurry snapshots and recreated through new spatial concepts that transport them to another, almost metaphysical dimension; so that the works become an investigation of the absolute space, internal and external, and each referent, of any sign or nature, dissolves and evaporates.

If sometimes shapes appear - mute presences or phantom ghosts, as I said above - these have the contours of the dream and the indistinct. Presences and phantasms of the soul, no doubt, capable of bringing any lived experience or figural element back to an essential, abstract and allusive language.
Even color, this color that now seeks intense blues, blood reds and, above all, the brightness of gold, helps to sublimate every naturalistic echo, every beat of historical time and every fragment of geographical space in an all-encompassing dimension. beyond space and time; and in this complex, apparently simple and minimal whole, different cultural and artistic suggestions dialogue and evocative evocations are evoked the preciousness of the Ravenna and Oriental mosaics, whose exquisitely Byzantine features, with their taste of refined detail and their suspended atmosphere, they are mediated with the deep, variegated and free vibrations of the soul that faces the mystery of the ego and of the universe that the ego contains and justifies. So in these surfaces we perceive a new sacredness: that of our most hidden intimacy and, at the same time, of the cosmic breath that surrounds us, of the infinite space that gives us life, of that continuum that reabsorbs every diversity and makes a small one splinter facing the mystery: a thin but precious trace left by the man of his presence on this earth.

Pistoia, July 2018
 







The surfaces of Velio

Velio's latest works are real architectural constructions.
The material, mainly cement, is expertly shaped with reliefs, overhangs, recesses that recall pillars and
gutters, walls and vaults, sometimes suspended or intersected with each other.
The effect of plasticity is made even more meaningful by the use of color that harmonizes with the underlying material or makes it stand out, as if to challenge it in a real competition.

Two elements of this
production are striking: the capturing force of the architectural elements
almost leaping out and the vehemence of scratches and smears, measured and
designed to evoke frescoes and paintings of forgotten rooms.
The poverty of materials
seems to be admirably the bearer of compound structures and scratched colors
that recall walls devastated by time, as if to signify the deterioration of
every human work.
Old, faded walls, peeling and
corroded plasters are the images that evoke Velio's works, from which perhaps
an intrinsic sadness emerges that however the artist admirably dampens with
those golden gleams and mosaic speckles that make one vibrate with light the
whole surface.

 

Laura Cappellini, Februay 2019
 
 
 
 
 
 AD LIMINA
by Prof. Anna Brancolini 


There is a reduction to the essentials in these works: wooden surfaces covered by a simple mesh with variable meshes, stopped with hot glue. Pure colors mixed with sand or neutral acrylic paste or cement / glue that caress these surfaces and these nets creating different tactility, vibrant, chiaroscuro.
The colors are few and recurrent: the black of the night, the blue of the depths of the sea, the bright yellow of the sun and the wheat fields, the white with ambiguous valences, made pulsating by brilliant golden inserts and also present on the jute of other pieces , always characterized by chromatic contrasts and the dialectic of lights and shadows between superimposed spaces.
The result is works full of quivering, dynamic in their apparent static and in their use of geometric modules, always corroded by something imperfect: a ragged tear in the jute, an irregular cut in the net, with the jutting out of the links to other planes space, with volumetric temptations.
An allusive ambiguity envelops these plastic forms that seem to express the multiform values ​​of the concept of limen: threshold, but also limit and boundary and, again, starting line and therefore beginning and beginning. Trajectory towards a faded and uncertain elsewhere, frightening and reassuring at the same time: the limen - note - is also the house, the safe harbor,  the nest  (G. Pascoli).
So the network expresses the sense of closure and constraint or is a sort of protective cage to stop emotions and memories and remove them from the inexorable flow of time and oblivion?
The tears allude to the many lacerations of life, are the ring that does not hold  (E. Montale) or the passage to the elsewhere, the escape of salvation, the metaphor of freedom or the reassuring port of a landing but never definitive and defined?
Perhaps all of this together, in these surfaces of uncertain status, traversed by tremulous horizons or plots of vibrant yearnings to escape upward, up, into the sky.
To the earth, with all its load of experience, bring us the scratches on the hills, on the sand and pasty colors, those scratches that seem to write an intimate and hidden story, very personal, and also evoke the distant charm of ruined or scuffed walls, rigged by the experiences of the submerged and anonymous life of generations.
Visions of the mind and of the heart, nostalgic evocation and composed of something lost, on an individual and collective level, to which the poor materials - the net, the jute - undoubtedly initially recovered: those materials that, almost with modesty, they refer to the ancient craftsmanship of the territory and to the warmth expressed by the hand of man.
On the other hand Ferretti's works are neither casual nor improvised: they closely weld a dexterity lived without reservations with the lucid awareness rational of a project that has clear the play of the symmetries and the formal, chromatic and perspective equilibriums of the compositions.
So reason and feeling come together in these pluriverse and synaesthetic works that stimulate multiple sensory levels with their luminous and material quivers and seem to really come from deep to plunge into the deep, to the frontier of an indistinct dimension: a measured and discreet trace of one's own interiority and also veiled and suggestive metaphor of the Wandering Man to the perennial search of oneself and of never definitive ports.

 
Always ad limina, in fact.

Pistoia,  April 2018


 








TOWARDS ELSEWHERE
by  Prof.  Federico Napoli

 
In early Velio Ferretti ‘ s paint, geometric shapes of landscapes, chromatic fullness, space complexity, whole descriptive composition,  general synthesis, come to be felt too restrictive and too descriptive from the painter who needs therefore a new research elsewhere.
Ferretti set a knowledge and a comparison method with different materials and he searches the way to divide shape and content. A necessary creative process to gain a new expressiveness in his works. Today we are able to find personal inner reality in Ferretti’s life spaces. The author’s attitude comes to light through non-narrative allusions, while objective references disappear.So, since 2015, Ferretti’s artworks moved from “the inside” to “the outside”, the painting leaves represantative component and gains more reflexivity,so the focus moves from the object to the subject.
Artwork shows soul and personal truths that the painter can only try to identify, it is an echo where we can find tremblings and thrills, anxiety and hope.
Ultimate works have a global vision : in a material and ideal cage, that is metaphor of segregation, imprisonment, constriction and loss of visual , a breach is opened. “…this edge which hides from my view/so large a portion of the farthest horizon…” (Giacomo Leopardi, “L’infinito”).Trough this one we can escape and find a hopeful mood that we can gain through a difficult and undifined way.
The cage foresees a metallic structure emerging from a chromatic mass; this structure can be broken and so we can see a hopeful feeling.
The artworks live in a colorful mesh (often but not always dark), where polygonal structure of constitutive elements collides with the rectangular and regular dimension of work surface area: snatches are underlined by a clear colour – but often we can find an inverted situation-, cerating a conversation with action,light and perspective depth.
Ferretti focuses on his inner world. The composition doesn’t centralize neither assume an accurate sign as necessary, so it arises more emotional.
Consequently sign and gesture relate the substance and its manipulation; the author gains flash lighting, freedom, hopeness despite he doesn’t use academic, heartening compositive elements – replaced by a huge material surface made with plasters, glues, sand, metallic net that lying on canvas, wood and jute surface.His places are closed, we need to escape to reach other spaces where there is anyway an occlusion sense.
 To get really free we need to start a long and perilous road made of Ferretti’s language symbols. Tangles and crossroads refer to the difficult continuation of the journey.Painting surface stripings and geometrical inclusions of metallic nets create a tactile duality of lights and shadows. An uncertain horizontal line preludes  a not so easy hope to hand. So we face a strictly personal creative world : “ Let the doors whisper, people of the world along corridors don’t listen” (Ray Bradbury, “Interval in Sunlight”).
Even if the context is dramatized a controlled order,  of complex and suffering techniques, remains on the work surface area. The painter seems to show strongly a possible way of freedom that is however uncertain.
The art of painting becomes an existential research with an humanistic and personal effort and without a narrative and metaphisical aim close to mankind: notwithstanding a biting reality, a  snatch liberating gesture overtakes limits and it leads beyond as a gamble, towards the hope of an elsewhere.
Velio Ferretti is in progress.
 
 
 Firenze,  luglio 2017
 
 





































A TALE
by  Arch,  Alessandro  Mannelli 

Time passing

"Maybe it is true that each man carries loyalty to a certain voice inherent in his very blood, and that he cannot but obey that voice, however many defections occasion may incite him to."
Gesualdo Bufalino “The Keeper of Ruins”
(translated by Patrick Creagh)
 
There comes a time when the emotion of old thoughts becomes overwhelming. There comes a time when the calmed depths mature and the soul’s tears break free and hover in the air.
There comes a time when our senses are able to distinguish the subtlest fragrances, the smoothest – or roughest – surfaces, the most refined tastes, the sweetest – or harshest – melodies.
 
There comes a time when the innermost self can be reached without fear and is regarded with respect and love but also with crystal-clear awareness.
Or perhaps as much self-knowledge as awareness. Or the opposite. Out of this opposition comes a multifaceted sense of shame that leads one to deny, at times, one’s own nature, but also to assess oneself objectively, as if standing before a full-scale mirror, you could see someone who only  resembles you, but is not really you – that person you thought you knew.
Life teaches us to compete with ourselves. Yet what lingers in the end is the peace made with one's own experiences, one’s own story.
 
A vocation
Art, every artistic expression is an obvious and inescapable sign of this progression and its outcome. Velio has lived life and his experience bears clear and inescapable traces of how much each of us “carries written in our own blood".
The first outcomes of his intellectual journey, of his expression as a man and an artist belong to a distant past, yet they are powerfully and clearly connected to his latest works, in which there clearly appears a reduction to the essential, a real-life poetry, transferred to the rough and imperfect surfaces, that the artist has wished to exalt in his latest works.
 
 
Velio is reborn as a phoenix each time that he, as a man, transfers to canvas perceived tensions,   and attempted or imagined paths. This necessary passage belongs to all those who live and coexist with the flame of art, often subdued or disguised by other, very different activities.
Velio is reborn, and his new life is traversed by the thrills that lead him into uncharted lands.
Velio is reborn and his artistic-self explores roads that belong to a somewhat different past. Yet in the reconstructed pieces, in the nettings that capture memories, in those rough, skillfully blended surfaces with deep red, brown, and gold backgrounds, experiences related to structures of operating behavior, to man-resource management, social skills and desires that belong to man are re-interpreted, creating a conscious metaphor of the artist who survives, resists, and finally emerges triumphant.
However, let us go slowly.
 
Artistic Vision
At first it was a triumph of color, especially yellows and reds, with backgrounds defined by a spider’s web of "paths", as if to identify a hypothetical mental map (perhaps of life’s journey?).
 
 
 
A symphony of notes with senses alert to the fragrances and flavors of a new life and new directions.
As in a life re-lived, each painting has pushed the exploration of color further and brought thoughts closer together, until they formed clusters, the reds acquired shape, materiality, and density, and the yellows become suns, pure gashes of gold.

Look for a tear in the net
that binds us, burst out, break free! ... "

E. Montale ,  On the Threshold , from  “Cuttlefish Bones”
 
 
Awareness and the interpretation of pain is overpowering; the tear in the wire netting appears uncontrollable and liberating and the sun, a hint of salvific light, a moment of new-found joy, a triumphant joie de vivre.
The wire netting – sometimes a fine or a coarse mesh, sometimes a squared micromesh – pasted and blended into the background material is suddenly opened. Does the tear mean there is a way out of suffering?
We should not ask he who experienced it and offers it.
Velio does not answer. His tranquil silence lets each individual interpret that doubt.
 
 
   It is true. Each person can read their own story in these deep red pieces, in those paintings where gold or brown form the background and open elsewhere into a vertical or horizontal slit where brown, black, and gold itself separate the “world” into two universes. These two universes seem to reflect each other as in some of the more recent works where the almost whites give the impression of a new horizon. Perhaps it is a new frontier for the artist, a new approach, a different awareness, a road for those who have passed through the mesh of this “wire netting” and travel freely on the sea of a new world.
 
 Alessandro Mannelli,  October 2016
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